Storia e territorio

I primi documenti attendibili che parlano di Taurisano ci riportano verso la fine del sec. XII, durante la dinastia normanna, allorquando Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce dal 1175 e re di Sicilia dal 1190, infeudò Taurisano, donandola a Filiberto Monteroni nel 1191.

La famiglia Monteroni era una delle famiglie più importanti della Terra d’Otranto; tenne il territorio di Taurisano fino al 1265 e successivamente dal 1444 al 1536, quando si estinse in seguito alla morte di Francesco Monteroni, rimasto senza discendenti. Subentrata ai Normanni la dinastia degli Svevi nell’Italia Meridionale, il sovrano Federico II° di Svevia (1194-1250) concesse il Principato di Taranto, cui apparteneva la baronia di Taurisano, al figlio Manfredi, che ebbe non pochi problemi politici con i pontefici del tempo. La morte del re e la lontananza dell’erede dell’Impero Svevo, Corrado IV°, ravvivarono le speranze del Papato di riprendere il controllo politico dell’Italia Meridionale.

Fu proprio il Papato, nella persona del Papa Innocenzo IV°, che, per combattere gli Svevi, chiamò in aiuto il francese D’Angiò, promettendogli la corona del Regno di Napoli. E questi con un potente esercito scese in Italia sbaragliando Manfredi a Benevento nel 1266. Fra i molteplici provvedimenti amministrativi, il D’Angiò nominò barone di queste terre Hugo de Tauro o de Taurisano.

Nella rinnovata ottica della gestione feudale, fu proprio Carlo V° che assegnò il feudo di Taurisano, insieme con la Contea di Castro, ad Antonio Mercorino, marchese di Gattinara, il cui dominio e quello dei suoi successori, tra cui Elisa Gattinara Lignani, durò fino agli anni’60 del XVII secolo. Infatti nel 1663 il feudo di Taurisano, insieme con quello di Monteroni, fu acquistato da Bartolomeo Lopez y Royo, appartenente ad una nobile famiglia spagnola (il cognome, in verità, deriva dall’unione della famiglia Lopez con la famiglia Royo).

Nel 1692 il feudo fu trasformato da baronia a ducato, sicché da allora i Lopez y Royo si fregiarono del titolo di duchi. Di discendenza in discendenza, i duchi Lopez rimasero pienamente in possesso del feudo fino a quando i Francesi, durante l’era di Napoleone, occuparono il Regno di Napoli, abolendo la feudalità.

Ultimo discendente è stato Luigi Lopez y Royo, morto nel 1992, e ne ha acquisito il titolo il figlio Giuseppe. Fra gli uomini più noti del casato sono da ricordare, oltre al già citato Bartolomeo (1614-1666), Antonio Lopez y Royo (1673-1742), il primo a fregiarsi del titolo di duca; Nicola (1819-1898), capostipite del ramo di Taurisano, e soprattutto Mons. Filippo Lopez y Royo (Monteroni, 1728, Napoli, 1811). Avviato alla carriera ecclesiastica, dotato di alto vigore intellettuale e di vasta dottrina, vescovo di Nola e poi Arcivescovo di Palermo, fu viceré di Sicilia, nominato da Ferdinando I° di Borbone, in un periodo estremamente convulso per il Regno di Napoli e per la Sicilia (la Rivoluzione Francese, con i suoi riflessi sul Meridione; i primi moti liberali; l’avvio di una nuova mentalità e organizzazione sociale), per cui la sua figura e la sua opera non sono state adeguatamente apprezzate a causa del clima di confusione, di giacobinismo e di restaurazione, di diffidenza e di odio.

Come in quasi tutte le realtà salentine e meridionali, anche in Taurisano si sono verificati vistosi cambiamenti dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in conseguenza di una forte emigrazione sia verso l’interno (il famoso triangolo industriale italiano), sia verso l’estero, verso i Paesi di centro – Europa (Francia, Belgio, Svizzera, Germania, Lussemburgo, ecc.).

Tali cambiamenti hanno inciso sia sul tessuto familiare, sia principalmente, sull’economia, in quanto con le rimesse dell’emigrazione c’è stata una forte espansione del lavoro nel campo dell’edilizia e dei settori indotti. Sempre dopo gli anni ’50 si è determinata anche una certa vivacità nel vissuto sociale e nel campo culturale (manifestazioni, testate giornalistiche, ecc.) culminate, finora, con la rivalutazione della figura e dell’opera del figlio più illustre di Taurisano, Giulio Cesare Vanini, filosofo che qui ebbe i natali.

Cenni storico – culturali ed economici su Taurisano

1. Inquadramento storico e culturale

  1.1 – Il nome

L’ origine del toponimo Taurisano è variamente spiegata dagli studiosi: da “taurus sanus”, con riferimento ad un ipotetico allevamento e commercio di tori in età messapica e romana, teoria confluita poi nello stemma civico del Comune (G. Marciano, G.C. Infantino, J.A. Ferrari, G. Colosso); da “Taurisius” o Taurisianus”, derivati dal gentilizio romano “Taurus”, nome di un altrettanto ipotetico centurione romano che avrebbe colonizzato questo territorio fondando una “Villa rustica”(L.Tasselli, G. Rohofs); dalla radice preindoeuropea “Taur”, col significato di altura (E. Panarese, G. Colella, L. Graziuso), etimologia più probabile considerate le fattezze del territorio, su cui insistono i cordoni collinari delle Serre salentine, con più zone caratterizzate da spuntoni rocciosi.

  1.2 – Il Popolamento antico

La presenza sul territorio di svariati monumenti megalitici e il rinvenimento di manufatti dell’industria neo-eneolitica fanno supporre che l’antropizzazione del territorio taurisanese si possa considerare avvenuta tra il II e il I millennio a.c.; questo territorio è, infatti, uno dei più ricchi di “specchie del Salento, generalmente arroccate sulla sommità delle Serre con funzione di vedetta, di difesa dagli assalitori e funeraria. Fino alla fine dell’Ottocento ne esistevano ben sei, tutte visualmente collegate tra loro: Specchia di Galia, Serra, Saglietti, Monterotondo, S. Teresa e Silva. Di esse restano oggi la Specchia Silva e la base della Specchia Saglietti, nei cui pressi il 1985 fu rinvenuto un menhir crocesignato, megalite che in epoca neolitica indicava il sito della sepoltura di un eroe o capotribù, di un memorabile fatto bellico, ovvero rientrava nella simbologia divina o fallica, ovvero aveva funzione di meridiana solare o di indicatore stradale. Un altro menhir, denominato “S. Maria”, confitto nell’abitato, lungo la via per Ugento, venne abbattuto agli inizi del Novecento. Altre testimonianze della presenza dell’uomo neolitico (frammenti di ossa umane e di Bos primigenius, selci levigate) vennero alla luce negli anni Sessanta del Novecento nelle contrade “S.Giovanni” e “Varano”.

L’insediamento messapico e romano è documentato nelle località Ortenzano e Varano, dove fino all’XI –XIV secolo sono attestati gli omonimi casali. Nei siti di questi antichi insediamenti, nei primi decenni del Novecento, sono state rinvenute tombe con suppellettili funerarie, frammenti di terraglie con decorazioni geometriche, lacrimali, collane di vetro, monete d’argento, tracce di strade dell’età repubblicana e imperiale. Seguì il dominio bizantino che sul territorio taurisanese lasciò tracce importanti: la pyrgoi (torre di difesa) sorta sul sito della “villa” romana, le chiese di rito greco intitolate a S. Donato (secc.X-XI), di S. Maria della strada (secc. XIII- XIV), di S. Stefano, con annessa cripta (secc.XI-XV), l’insediamento bizantino in contrada “Conca”, luoghi di culto e di mercato per le popolazioni dei casali di Varano, Cardigliano, Paterno e Ortenzano, dove sorgeva un’altra chiesa di rito bizantino dedicata a S. Michele Arcangelo(sec.XI).

  1.3 – Le Origini

Ma è con l’avvento degli Angioini nel Regno di Napoli (1266) che si può datare la nascita di un centro abitato stabile. Gli Angioini concessero il feudo di Taurisano ad una famiglia francese giunta in Italia al seguito di Carlo I d’Angiò, i De Tauresano, che trassero il cognome dal toponimo. Questa famiglia fece edificare un castello a recinto sul sito della pyrgoi bizantina e nelle adiacenze di un importante nodo viario a livello commerciale, militare e religioso, dove appunto si congiungeva la strada Otranto – Castro – Ugento con la Manduria. Leuca. Gli abitanti dei vicini casali, da una parte per sfuggire alle vessazioni fiscali dei Conti di Ugento per essersi schierati con gli Svevi durante la lotta con gli Angioini, dall’altra perché attirati da condizioni fiscali favorevoli attuate dai De Taurisano, che tra l’altro concessero in enfiteusi le terre ai nuovi arrivati e protezione nel castello, contribuirono alla nascita dei primitivo nucleo di Taurisano, costruendo le loro umili abitazioni intorno alla fortezza.

  1.4 – Cenni Storici

In età aragonese il centro abitato venne fortificato da Ruggero De Tauresano, Ugo De Tauresano e dai loro successori nel feudo, i Montoroni. Nel corso della dominazione spagnola la baronia di Taurisano fu aggregata alla Contea di Castro, passando sotto il dominio dei Gattinara – Lignana. In questo periodo il centro abitato assunse una precisa identità sociale e urbanistica, essendo la popolazione passata dai 28 “fuochi fiscali” (poco più di un centinaio di abitanti) del 1447 alle 140 famiglie (circa 800 anime) del 1595. Incremento demografico dovuto essenzialmente alla messa a coltura di nuove terre, un tempo macchiose e acquitrinose, alle migliorie fondiarie, con l’estensione dell’oliveto, volute da questi feudatari, che favorirono, tra l’altro, l’insediamento in Taurisano dei Vanini, che divennero loro luogotenenti e intendenti.

Il 1623 il feudo passò ai De Castro e da questi, nel 1663, ai Lopez y Royo, che lo tennero fino al 1806, anno delle leggi eversive della feudalità. Se il Cinquecento e parte del Seicento si connotarono come un periodo di discreta prosperità economica e di incremento demografico, il Settecento fu invece un secolo di crisi sotto tutti i fronti: un’ agricoltura arretrata basata prevalentemente sulla coltivazione dei cereali, un patrimonio zootecnico veramente irrilevante, il patrimonio terriero fortemente parcellizzato e concentrato nelle mani di pochi nobili e professionisti, nonché della Chiesa, le frequenti epidemie di tifo e di vaiolo, le carestie decimarono la popolazione fino a ridursi a soli 620 individui nel 1711, risalire sia pur di poco nel 1747 (678) e precipitare nuovamente a 620 anime nel 1796. La ripresa demografica ed economica se ebbe nei primi decenni dell’Ottocento, grazie all’immigrazione di diversi nuclei familiari provenienti dal Gallipolino, dal Copertinese e dalla Grecia Salentina, che trovarono lavoro nelle cave di pietra da costruzione di proprietà del Comune, nelle fornaci di calce, nell’edilizia, nelle campagne, grazie all’estensione del vigneto, dell’oliveto e della coltivazione del cotone, negli opifici per l’essiccazione dei fichi. Il 1805 la popolazione di Taurisano raggiunse, infatti, il migliaio di unità, 1.101 ne contava il 1814, 2.293 nel 1861 e 2.617 nel 1881.

Il XX secolo si aprì con un tragico evento finito nel sangue: l’8 dicembre 1905, davanti al Municipio, le forze dell’ordine spararono sulla folla che, aizzata dagli agrari, manifestava contro il famigerato accordo del Governo italiano con la Spagna, detto “Modus Vivendi” sull’importazione a dazio di favore di alcuni vini spagnoli. La prima guerra mondiale raggiunse anche questo piccolo centro, dove la maggior parte della gente poco o niente capiva di politica e dove si attendeva soltanto al duro lavoro dei campi, incerto e sottopagato, imperando anche qui la piaga del caporalato. Tra coloro che partirono per le trincee, ben 78 vi lasciarono la vita. E a guerra non ancora finita, per approfondire il solco della disperazione, giunse la terribile epidemia influenzale denominata “Spagnola”, che mietè più vittime della guerra stessa. I reduci ritornarono alla vita grama di sempre, per di più senza ricevere un centimetro delle terre promesse dal Governo, affidando la loro esistenza e quella dei loro familiari ai propri fazzoletti di terra, alla giornata lavorativa contrattata con i fattori degli agrari, la sera o all’alba, in piazza Castello o lungo le banchine della via per Ugento. Il fascismo fu qui accolto con tante speranze di cambiamento, che però con il passare degli anni furono in parte deluse. Non si conobbero le tristi vicende dello squadrismo e delle sue vittime; ma podestà di nomina prefettizia, provenienti dalla borghesia agraria e dall’aristocrazia locali, finirono con il favorire gli interessi di classe e, di conseguenza , due tipici comportamenti sociali: il servilismo, da una parte, e la ribellione dall’altra, come quella contro il podestà del 1937, subito domata dalle forze dell’ordine. Ripristinata l’atmosfera di asservimento, si inserì tutto lo stile retorico imperante. Fu così che venne stravolta la toponomastica stradale, introducendo i nomi del duce, della famiglia reale, di importanti città di nazioni colonizzate. Il volto urbanistico del paese mutò sensibilmente: l’apertura di nuovi assi stradali diramantisi da Corso Umberto I, lo sventramento di alcuni isolati e la costruzione di edifici pubblici (edificio scolastico, casa d’infanzia, ospedale, albergo, ecc) prepararono la strada alla realizzazione di nuovi quartieri. Sempre durante il fascismo arrivarono la rete elettrica, l’acquedotto, la prima motorizzazione pubblica, fu istituito il primo concerto bandistico locale.

Ad iniziare dal 1940 anche da Taurisano partirono in centinaia per i vari fronti di guerra. Di essi 51 non fecero più ritorno, caduti in combattimento o dispersi; altri perirono qualche anno dopo per le ferite o le malattie contratte in guerra, altri ancora portarono per tutta la vita nelle mutilazioni e nelle invalidità fisiche e psichiche i segni della tragedia. La prima metà del Novecento, nonostante le vittime dirette e indirette delle due guerre e l’alto tasso di mortalità infantile, conobbe una esplosione demografica senza precedenti. La popolazione di Taurisano passò dai 4.039 ab. del 1911 ai ben 5.295 del 1921, a 6.206 nel 1931, a 6.495 nel 1936, fino a raggiungere i 7.887 individui nel 1951. Al contrario dell’avvento, alla caduta del Fascismo si verificarono pericolose agitazioni popolari: nel 1944, durante i tumulti della folla per costringere il podestà, avv. Aurelio Pepe, a dimettersi, cadde un giovane sotto i colpi di un carabiniere. Il podestà si dimise solo a seguito dell’assedio posto dal bracciantato inferocito alla sua villa. Soppressa l’istituzione podestarile, ci si avviò al sistema democratico.

Per il referendum la stragrande maggioranza dei Taurisanesi votò per la conservazione della monarchia. Nell’ottobre del 1946 si tennero le prime elezioni amministrative, vinte dalla lista civica della “Bilancia”, di ispirazione social-comunista, con una schiacciante maggioranza di voti. Il primo sindaco fu un contadino, Stefano Rocco Cappilli. Gli anni Cinquanta furono caratterizzati in Taurisano da frequenti conflitti tra bracciantato e padroni, che culminarono in scioperi e manifestazioni seguiti da tafferugli e arresti; dimostrazioni promosse da braccianti e tabacchine per rivendicare lavoro e migliori condizioni salariali e lavorative. La fine degli anni Cinquanta e tutti gli anni Sessanta furono contrassegnati dal fenomeno della senilizzazione e della femminilizzazione della società, essendo espatriati, chi definitivamente chi temporaneamente, oltre 3.500 cittadini, un vero esodo di massa, per lo più giovani compresi tra i 18 e i 45 anni, verso i Paesi più progrediti dell’Europa centrale (Belgio, Svizzera, Germania, Austria, Francia) e nelle regioni del “Triangolo industriale”del Nord Italia. Grazie anche alle cospicue rimesse di questi emigranti migliorarono considerevolmente le condizioni di vita e si verificò una smisurata quanto convulsa espansione urbana.- Nonostante l’emorragia migratoria, ripresa sia pure in misura minore dagli anni Ottanta, il paese ha registrato sempre incrementi demografici, grazie all’altissimo tasso di natalità, che verso la fine degli anni Sessanta era uno dei più alti d’Europa. Nel 1961 il paese contava 9.118 ab., 9.786 ne annoverava nel 1971, 11.498 nel 1981, 12.600 nel 1991. Nel 2003 la popolazione assommava a 12.515 abitanti, tra cui il 19,8% ricadenti nella fascia di età 0-14 anni (la percentuale più elevata della Puglia), contro una percentuale provinciale del 15,3%; il 24,1% nella fascia 0-17 anni, contro una percentuale provinciale del 18,8%; il 12,5% sono gli ultrasessantacinquenni, contro una percentuale provinciale del 18,1%; mentre l’indice di vecchiaia equivale al 64,4%, contro una percentuale provinciale di 117,7%. Negli anni Novanta si è invece registrata una frenata demografica per via del calo del tasso di natalità e della ripresa dell’emigrazione interna ed esterna, soprattutto di giovani diplomati e laureati; tasso di natalità che comunque restava al di sopra della media pugliese ed italiana.

Dagli anni Settanta si è assistito, altresì, ad una forte espansione dell’edilizia pubblica (diversi plessi di scuola materna, elementare e media, l’asilo nido, la caserma dei carabinieri, il commissariato di polizia, la sala consigliare, il mercato coperto, le case popolari, le zone 167, la zona artigianale e industriale,ecc.). La mania di abbattere e di ricostruire non ha risparmiato neppure gli edifici di interesse storico, architettonico e ambientale, come il teatro”Vanini”, l’antica “spezieria”, diversi frantoi ipogei, trulli, masserie, opifici dell’archeologia industriale, case con logge mensolate e a corte. L’analfabetismo è ormai quasi del tutto scomparso, anche se va comparendo il preoccupante fenomeno dell'”analfabetismo di ritorno”. Sono cresciuti il tenore e la qualità della vita, ma grazie soprattutto all’emigrazione e alle fabbriche, soprattutto di scarpe e abbigliamento , dei paesi vicini. Cospicuo il numero dei diplomati, ma ancora limitato quello dei laureati e dei professionisti, che rimangono al di sotto della media provinciale.

  1.5 – L’evoluzione dell’assetto urbanistico

Il primitivo nucleo urbano di Taurisano evidenzia un impianto medioevale in quanto riflette sostanzialmente lo schema di base della struttura viaria tipica di quell’età, generalmente caratterizzata da un asse passante attraverso l’intera area fabbricata, che resta quindi bipartita, e sul quale si innestano, a mo’ di pettine, gli assi secondari secondo una logica unitaria riscontrabile in altri centri salentini denuncianti una genesi medioevale. Il tessuto urbano originario si è sviluppato a Nord e a Sud- Est del cartello a recinto (seconda metà del XIII – inizi del XIV secolo), laddove esisteva una “pyrgoi” bizantina, probabilmente sorta nel sito di una “villa rustica” romana d’epoca imperiale, a sua volta attestata nei pressi di un crocevia d’importanza strategica e commerciale . Un nucleo urbano costituito da poche case, abitato da sparuti nuclei familiari, se il 1447 assommavano ad appena 28.

La pianta dell’organismo urbanistico medioevale, grosso modo compreso all’interno dell’attuale villa comunale, via Rimembranze e le vie Poerio, Caracciolo,Conte di Torino, Umberto I, Crispi e De Gasperi, era quasi rettangolare, con l’asse principale orientato in senso Nord – Ovest/ Sud – Est, seguendo il declivio della Serra orientale su cui s’adagia l’abitato. Nel basso Medioevo doveva essere cinto da mura, attraverso le quali si aprivano almeno tre porte, rispettivamente sui lati occidentale (in corrispondenza dell’imbocco su via Roma), meridionale (nei pressi dell’incrocio tra le vie C.Battisti e conte di Torino, dove si intravede la struttura di una torre, inglobata in una costruzione successiva, che conserva una parte della cornice romanica) e settentrionale (vico di via Venezia); mentre sul lato meridionale, inglobato nelle mura, era ubicato il castello angioino, volgarmente detto”Palazzo vecchio”. Il recinto era dotato di tre torri circolari scarpate, poste in corrispondenza degli spigoli meridionale, occidentale e settentrionale, mentre ad oriente si estendeva il millenario bosco della Camera Ducale.

Nel Quattrocento le mura furono dotate di una quarta torre, precisamente sul lato orientale, dal coronamento a beccatelli sporgenti, che funzionava da piombatoio. Nel sec. XVI, diffondendosi ovunque il sentimento della rinascenza, i committenti, che in Taurisano erano essenzialmente esterni, come i Conti di Castro, i Vanini, gli Arcieri, i Romasi, i Margiotta, i Calvano, gli Alfarano, i Caputo, i Vitale,ecc; diedero vita a fabbriche civili e religiose legate al buon gusto. Il piccolo centro abitato si arricchì di eleganti residenze e di luoghi di culto creati da raffinati artisti che realizzarono le abitazioni delle suddette famiglie e la chiesa parrocchiale della Trasfigurazione, sorta su un altro tempio sacro trecentesco intitolato a S. Salvatore, di S. Martino, di S. Lucia , di S. Nicola di Mira, dei SS. Cosma e Damiano, di S. Antonio Abate, abbellite da portali, cornici a bugnato, volte innervate, balconi, architravi, frontoni riccamente decorati, di cui oggi resta soltanto lo splendido palazzetto dei Calvano in via Isonzo. Tali edifici religiosi andarono ad arricchire il già prezioso patrimonio storico – artistico esistente, come la chiesa bizantina di S. Maria della strada, in stile romantico- pugliese (secc. XIII – XIV), la cappella bizantina di S. Donato (secc. X –XI) e l’antica chiesa matrice di S. Stefano (sec. XV).

Il Seicento in questo centro si connotò, più che per l’edificazione di chiese ed edifici civili in stile barocco, veramente rari e di scarso interesse artistico, come il primitivo palazzo Ponzi, le cappelle della Pietà e di S. Maria del Gallo Verde, per la mania di abbattere il vecchio per edificare umili abitazioni e piccole e grandi corti, essendo alquanto limitata la presenza dei ceti aristocratico e borghese. In questo centro, infatti, quando in molti paesi salentini fiorivano grandiose strutture civili e religiose, il tessuto edilizio veniva sottoposto a sventramenti, sostituzioni degli edifici ed isolati esistenti; interventi che hanno in parte cancellato i caratteri dell’abitato primitivo e della viabilità interna. Ciononostante, col supporto dei segni superstiti e delle sia pur sommarie indicazioni forniteci dai documenti archivistici è possibile ricostruire abbastanza fedelmente la struttura urbana e la toponomastica della Taurisano del XVIII secolo.

Nella metà del Settecento, davanti al lato occidentale del palazzo ducale, costruito tra il 1733 ed il 1770, si apriva l’unica piazza del paese (probabilmente residuo del castello a recinto medioevale), a Nord/Nord-Est della quale era ubicata la cinquecentesca chiesa parrocchiale col titolo canonico di Trasfigurazione di N.S.G.C. Orientata in senso Est-Ovest, corrispondeva grosso modo alla metà di navata di quella attuale eretta, sempre sotto il medesimo titolo, tra il 1796 e il 1803, ed ultimata solo nel 1956. L’espansione dell’abitato oltre la cinta muraria, iniziata verso la metà del Cinquecento verso ponente e settentrione, rispettivamente verso le Contrade “S. Stefano” e “le Puzze” e in direzione del suburbio di “S. Maria”, divenne più consistente nel corso del Seicento. A metà Settecento delle mura non v’era più traccia (rimasero soltanto un troncone del Castello medievale e della torre circolare), fu edificato un ramo del palazzo ducale sugli avanzi del primitivo impianto a recinto, fu radicalmente ristrutturata la chiesa di S. Stefano e notevolmente modificata la struttura della chiesa di S. Maria della Strada, vennero ampliati e modificati i palazzotti dei Coronisio in Via S. Maria, dei Preite nella strada “delle Puzze”, dei Gorgoni nella strada “della Crocicchia”, degli Scarcella e degli Alfarano nella piazza, dei Caputo nella strada “delle Puzze”. A Nord e Sud della piazza e, quindi, del palazzo ducale nuovo, dei resti del Castello medioevale, nonché della chiesa parrocchiale, si estendevano due cellule urbane collegate, oltre che dalla piazza, da due strade parallele che correvano da Nord a Sud, all’epoca denominate “strada dietro la chiesa”, quella ad oriente della piazza (corrispondente all’attuale via Concordato), e strada “avanti la chiesa” che, superata la piazza nel lato occidentale, si congiungeva, verso Sud, con la strada “della Crocicchia” (attuale lato occidentale del giardino pubblico di piazza Castello). Da questi due assi si diramavano in senso Est-Ovest alcune stradine in leggero pendio, che prendevano il nome dei luoghi di culto ivi ubicati o delle famiglie di più antico insediamento, ovvero più in vista sul piano sociale ed economico. La cellula urbana posta a Nord della triade piazza-palazzo ducale-chiesa era solcata dalla strada “delle Fococelle”, addossata al muro settentrionale del palazzo ducale nuovo e corrispondente all’attuale via Venezia; e dalla strada “delli Cavoli”, corrispondente alle attuali Vie Isonzo e Bortone. Su questa strada si apriva la grande corte “delli Vitali”.

Nell’agglomerato posto a Sud si diramavano dalla lunga e tortuosa strada “della Crocicchia”, la strada “delli Manchi” (attuale corte C. Battisti”), la strada “delle due olive” (attuale Corte di via Conte di Torino) e la strada di S. Nicola” (attuale via Risorgimento). Dalla piazza, su cui affacciava la Corte delli Alfarani, si allungava verso occidente, oltre il nucleo medievale del paese, la strada “delle Puzze”, la più affollata del paese ed abitata fittamente fino all’altezza del Palazzo dei Ponzi, nei cui pressi erano le corti “delli Schiavani” (a destra) e delli “Carangioli” (a sinistra).

Un’altra rilevante arteria per lunghezza e consistenza demografica era costituita dalla strada di “S. Maria”, che dalla piazza conduceva all’omonima contrada suburbana, dove sorgeva la chiesa di S. Maria della Strada, il più frequentato luogo di culto del paese, nonché la maggior parte dei frantoi ipogei dell’abitato. Lungo questa strada affacciavano la strada delli “Crudi” (a destra), la strada “delli Puzzelli” (a sinistra) e la “stritta delle Tittarelle” (corrispondente al vico di Corso Umberto I°, nelle adiacenze di via IV Novembre). Dallo spiazzo antistante la chiesa di S. Maria della Strada si partivano la via “della Madonna del Gallo Verde” (attuali vie L. Da Vinci e Oberdan), la via “Reale di Ruffano” (via G. Verdi) e la “strada per Gallipoli”, (via Casarano), quasi del tutto prive di abitazioni.

L’edilizia religiosa, che rivestiva un ruolo fondamentale nel campo dell’aggregazione sociale, era caratterizzata dalla presenza di numerose chiese e cappelle che, data la limitata estensione dell’abitato, erano abbastanza prossime tra loro. Tranne pochissime eccezioni, si trattava di edifici di modeste dimensioni e architettura, generalmente con coperture di tegole, dotate di un minuscolo campanile a vela. Nel quartiere posto a Nord della piazza si continuava a officiare nella chiesa parrocchiale della Trasfigurazione, completamente isolata da stradine e dalla piazza, e nelle cappelle di S. Lucia, di S. Martino, di S. Sebastiano antica (1556) ed in quella nuova di S. Nicola (1733). Nel quartiere che si estendeva a Sud erano ubicate la cappella antica di S. Nicola, la cappella della Pietà o dei dolori della Vergine (sec. XVII) e i resti della chiesetta dei SS. Cosimo e Damiano e di S. Antonio Abate. Le funzioni e i riti religiosi continuavano a svolgersi anche nelle cappelle dei suburbi: in quello occidentale, nella chiesetta di S. Antonio da Padova dei Vanini (sec. XVII); in quello settentrionale, nella più volte menzionata chiesa di S. Maria della Strada e nella Cappella di S. Maria del Gallo Verde (1695). Completavano l’edilizia urbana alcune botteghe artigianali, ubicate nella piazza e nei dintorni. Attorno all’abitato si estendeva la cintura degli orti, dei giardini, dei bovili ed ovili, quindi i piccoli appezzamenti coltivati a vigneto, infine le estensioni delle colture miste, degli oliveti, dei seminativi, delle macchie e dei boschi. Sul finire del Settecento si ebbe un’ulteriore espansione dell’abitato, ma a cellule isolate. Si trattò prevalentemente di edifici borghesi circondati da ampi giardini, come i palazzotti e le ville dei Colona e dei Casto (1768), lungo via S. Maria. Si tendeva a restaurare, ad abbattere e a ricostruire: religiosità popolare e necessità civiche contribuirono a migliorare il tessuto urbano cittadino.

Agli inizi dell’Ottocento il vecchio centro storico era ormai diventato insufficiente a contenere una comunità in rapida crescita. Il paese evidenziò ancor più le proprie tendenze espansive in direzione Nord, verso l’attuale Piazza Fontana, e verso Ovest. Nord-Ovest, con l’urbanizzazione delle contrade “A Mesi”, “S.Angelo” e “S. Stefano”, invase da edifici unifamiliari di piccole e medie dimensioni, a pianterreno e ad un piano; ma anche con palazzotti circondati da giardini per le ore di ozio dei nobili e della borghesia, come quelli degli Stasi (Piazza Fontana), dei Conti Castrista Scanderberg (via Principe di Piemonte), di Luigi e Giovanni Lopez Y Royo (Corso L. Da Vinci), di Filippo Lopez Y Royo (Piazza Castello), di Teresa Lopez Y Royo (Piazza Castello), dei Pepe-Lopez y Royo (Contrada “Gagliardo”). Tra la fine del secolo e l’inizio del Novecento si aggiunsero le ville e i palazzi, dotati di opifici, dei Potenza (Via Casarano), dei Corsano e dei Cataldi-Stasi (Corso Umberto I), dei Preite (Via Regina Margherita), dei Pennetta (Via Roma), degli Stasi (Corso Umberto I e via G. Lopez y Royo). La forte espansione edilizia di questo periodo favorì poi l’apertura di altre cave di tufo e di carparo nell’area demaniale comunale posta a Sud-Est dell’abitato (“Cave della Comune”). La seconda metà dell’Ottocento fu altresì un periodo di crescita civile: furono edificati il palazzo del Municipio (1898), il teatro “G.C.Vanini”, l’albergo dei Giannini, il Cimitero (1876).

Durante il ventennio fascista, oltre all’arricchimento del paese con opere pubbliche, furono realizzati nuovi quartieri popolari verso Ovest (Contrada “Puzze”), verso Nord-Ovest (contrada “Porcinara” e “Piatralaie”, “Pigno” e “Croce”). Aree tutte caratterizzate da un’edilizia fitta, occupata da tagli di lotti pressoché identici, della stessa profondità su cui vennero ad essere edificate abitazioni bracciantili in media di due vani e prevalentemente a piano terra. Circa la delimitazione del centro storico cittadino il P.R.G. di Taurisano ha inteso considerare come criterio fondamentale proprio l’organismo urbano sviluppatosi immediatamente intorno all’insediamento medievale, secondo la configurazione assunta fino all’epoca fascista, sicché oggi il centro storico risulta circoscritto dai lati interni delle vie: G. Garibaldi, G. Stasi, E. Toti. L. Cadorna, G. Mazzini, Duca degli Abruzzi, F. Crispi, A. De Gaspari, Rimembranze, Poerio, A. Diaz, V. Veneto, Umberto I° , G. Comi, A. Manzoni, F. Petrarca, piazza Libertà, Via Addis Abeba e via L. Da Vinci.

1.6 – Le attività culturali

A partire dagli anni Sessanta del Novecento, il paese ha conosciuto un considerevole dinamismo culturale e sociale, che ha coinvolto non soltanto le varie amministrazioni comunali, ma anche enti ed istituzioni private, tutte tese alla crescita intellettuale, culturale, civile e sociale della popolazione, nonché alla valorizzazione delle risorse esistenti nel territorio. Nel campo culturale operano, oltre alla Biblioteca Comunale “A. Corsano” e all’Assessorato alla Cultura del Comune, varie associazioni, quali la “Cooperativa Culturale A. Sabato”; l'”Associazione culturale Odigitria”, il “Teatro dell’Arca”, il “Centro Studi G. C. Vanini”, centri di danza classica e moderna che organizzano periodicamente manifestazioni di alto spessore culturale e scientifico, quali convegni di studio, pubblicazioni onde approfondire e far conoscere al più vasto pubblico personalità e temi della storia, della cultura e delle tradizioni locali.

Nel settore dell’informazione, operano da oltre un ventennio due periodici (“Presenza Taurisanese” e “Nuova Taurisano”) con cui collaborano le maggiori energie intellettuali del paese e anche noti esponenti della cultura salentina. Ricchissimo risulta anche il panorama delle associazioni di volontariato tese al recupero degli svantaggiati, alla sensibilizzazione civile dei cittadini, alla fruizione del tempo libero in senso formativo, alla tutela dei cittadini, come l’AVIS, le associazioni “Il Sole”, “Madre Teresa di Calcutta”, la Protezione Civile e vari altri sodalizi sportivi.

2. Inquadramento economico

Stando ai più recenti rilevamenti statistici, la popolazione attiva di Taurisano comprende all’incirca il 70% di lavoratori dipendenti e il 30% di lavoratori autonomi. Tra i lavoratori dipendenti circa il 24% è occupato in agricoltura, il 27% risulta disoccupato, il 10% lavora nella pubblica amministrazione, la restante parte è costituita da operai per lo più occupati nelle aziende manifatturiere e nell’edilizia e da lavoratori saltuari e precari. Nell’ambito dei lavoratori autonomi, il 30% è costituito da coltivatori diretti, seguito dagli artigiani (28%), dai commercianti (33%), dai liberi professionisti (9%). L’agricoltura è stata e rimane a tutt’oggi, nonostante la profonda crisi che travaglia il settore da qualche decennio, il comparto che fornisce il reddito di base alla metà dei nuclei familiari taurisanesi. Dei circa 1.700 ettari occupati dalle aziende agricole che operano nel territorio comunale, il 12% è coltivato a leguminose e seminativi (principalmente frumento), il 70% ad olivo, la restante parte ad altre tipologie culturali specializzate (ortaggi, frutteto, tabacco,vigneto). L’olivo insiste su tutto il territorio comunale, ad eccezione di limitate zone immediatamente a Sud-Sud-Est dell’abitato. Si tratta in prevalenza di olivicoltura tradizionale caratterizzata da sesti larghi, con piante antiche di grossa e media mole e con discreta produttività. Predominano le varietà “Cellina” e “ogliarola”, che vengono lavorate nei sei frantoi oleari esistenti. L’olio, di buona qualità, viene commercializzato per oltre il 50% della produzione totale tramite soprattutto mediatori esterni al paese, che tendono ad abbassare i prezzi, con tutte le conseguenze negative per il settore (diversi piccoli proprietari con i guadagni non riescono a compensare le spese di coltivazione).

La coltivazione della vite, il cui vitigno più diffuso è il “negroamaro”, fiorentissima fino ad un trentennio fa, oggi è limitata in buona parte al fabbisogno familiare e locale. I numerosi palmenti e stabilimenti vinicoli, che fornivano vino da taglio alle industrie francesi, piemontesi e venete, sono diventati ormai pregevoli monumenti dell’archeologia industriale, come pure le manifatture di tabacco e i forni per la tostatura dei fichi, visto che anche queste colture sono state quasi del tutto abbandonate. In questo centro stenta ad essere introdotta la riconversione colturale per l’atavica carenza di acqua: esistono solo pochissime e piccole aziende di floricoltura e orticoltura. Pressoché assenti i frutteti e gli agrumeti. L’attività zootecnica, un tempo discreta, oggi è ridotta ad una sola azienda di allevamento del pollame. Il numero delle aziende agricole taurisanesi registra un lieve ma costante calo; attualmente sono quasi 900, con un’ampiezza media molto esigua, appena 1,40 ettari, e a prevalente conduzione familiare (l’86%), con tutti i limiti che ciò comporta in un’economia di mercato.

L’agricoltura, quindi, in questo centro, è un comparto che produce redditi globalmente modesti, disoccupazione ed emigrazione per gli storici mali strutturali che l’affliggono. Ai fattori esterni, come le politiche comunitarie, tese alla riduzione dei prodotti mediterranei, l’abbandono, il disimpegno dello Stato e della Regione, si aggiungono diverse cause interne: la parcellizzazione e frantumazione del tessuto aziendale, il secolare problema della carenza d’acqua, l’alto costo dell’elettrificazione della campagna, l’insistenza dei coltivatori a mantenere i tradizionali ordinamenti colturali, l’individualismo che ha fatto fallire ogni tentativo di cooperativismo, la scarsa utilizzazione della tecnologia e dei fertilizzanti, la lontananza dai mercati e il dominio degli stessi da parte di intermediari esterni, le carenti infrastrutture nel comparto dei trasporti, la scarsa predisposizione alla programmazione colturale e, non ultima, l’abbandono delle campagne da parte delle nuove generazioni.

Riguardo ai settori secondario e terziario, Taurisano rientra in un comprensorio che ha come perno Casarano, a forte concentrazione di imprese manifatturiere (oltre il 20% dell’insieme esistente nel Salento leccese di imprese delle calzature, alimentari, meccaniche, dell’abbigliamento, del legno-arredamento, delle materie plastiche). Nella sola Taurisano, che può essere considerata il punto debole del comprensorio, operano 140 aziende manifatturiere (una ogni 95 abitanti); ma la loro dimensione è essenzialmente artigianale, registrando un numero medio di addetti di 8 unità. Le dimensioni di mercato sono per lo più ristrette all’ambito provinciale e regionale, eccetto quelle alimentari che annoverano più di cento addetti, che hanno conquistato i mercati nazionale e, in qualche caso, quelli europei. Si tratta delle due industrie della lavorazione delle carni, che negli ultimi anni Novanta del Novecento hanno subito una forte crisi per via delle malattie che hanno colpito i bovini e gli ovini.

Dati il ritardo con cui è stata realizzata la zona industriale, la sua esiguità, gli alti costi dei suoli, alcuni imprenditori locali di un certo fatturato hanno spostato le loro aziende nelle aree industriali delle vicine Ruffano e Casarano, contribuendo così ad impoverire la già fragile economia locale. Oltre a quelle dei prodotti alimentari, nel paese operano aziende del comparto edilizio (imprese edili, stradali, di restauro, di produzione di pavimenti, calcestruzzi, brecciame, materiali inerti, manufatti di cemento vibrato, calce, vernici murali, marmerie). Discreto il numero di laboratori e di addetti nel campo dell’abbigliamento (ditte di produzione e vendita di ricami, calzifici, pantalonifici, maglierie, stirerie, solettifici, confezione e produzione di abiti per bambini e da sposa). Decine pure le imprese, sempre a conduzione prevalentemente familiare, che producono infissi in legno e in alluminio, ricambi industriali, oggetti in ferro battuto, mobili, porte e finestre, imballaggi per sottovuoto, le tornerie meccaniche, le imprese di autotrasporti. I redditi prodotti da queste imprese sono comunque tali da non permetterne l’incremento e l’espansione. In diversi casi i dipendenti non percepiscono salari adeguati al tenore di vita di oggi; spesso si tratta di ragazzini che hanno appena terminato la scuola dell’obbligo; vige ancora tutto un sistema che alimenta l’economia del sommerso.

Se il commercio all’ingrosso è in via di espansione, ma con indici inferiori ad altre realtà salentine, anche limitrofe, quello al minuto stenta a decollare. Il paese non è dotato di un’adeguata rete commerciale: manca la grande distribuzione persino nel campo alimentare; si registrano pochissimi e modesti esercizi di abbigliamento, arredamento, di articoli igienici e per la casa, di elettrodomestici, gioielleria, di materiale da costruzione, di ottica, di articoli da regalo, di cartoleria, ferramenta. Del tutto assenti i servizi alberghieri e di ristorazione, carenti sul piano qualitativo bar e pasticcerie. I consumatori locali, pertanto, preferiscono rifornirsi negli esercizi commerciali molto più forniti di Casarano, Ruffano, Tricase, Maglie, Lecce, magari nelle tante occasioni per cui si recano per il disbrigo delle più disparate pratiche burocratiche e per le visite negli ospedali, sottraendo, quindi, altre risorse ad un’economia locale ormai al collasso.

3. Inquadramento Territoriale e Ambientale

  3.1 – Cenni storici sul paesaggio agrario

Posto all’interno del Basso Salento, lontano dal mare, il territorio taurisanese ha conosciuto, a partire dagli anni Settanta del Novecento, significativi episodi di devastazione, che hanno cancellato o alterato gran parte del patrimonio naturale e dei segni della civiltà contadina (masserie, caselli gradonati, trulli, muretti di pietre a secco, cisterne, pozzi, pollai, apiari, “spase”, “littere”, frantoi oleari ipogei, palmenti, specchie, menhir, ecc.). La prevalenza della popolazione sparsa, fino al XV secolo, ha favorito la nascita e la distribuzione delle masserie. Non le masserie turrite, tipiche delle zone costiere, con la loro ricchezza di elementi architettonici o le scenografiche scale esterne, bensì modesti insediamenti che riflettono, fino al sec. XVIII, condizioni economiche e pratiche colturali cristallizzatesi su modelli dettati da una feudalità che è continuata anche dopo la sua abolizione. Nel territorio taurisanese si annoverava una decina di masserie, alcune delle quali attive fino alla seconda metà dell’Ottocento, ubicate prevalentemente sulle aree collinari orientali e meridionali.

Ciò che maggiormente colpisce del disegno complessivo del paesaggio rurale dell’area considerata è tuttavia la notevole parcellizzazione della proprietà fondiaria. In un territorio dominato dalla pietra e dalla roccia affiorante, le unità particellari sono deliminate da muretti a secco che definiscono quel singolare motivo geometrico tipico di tutto il paesaggio del Basso Salento. Qui la tenacia dei contadini ha strappato alla roccia fazzoletti di terra e con le pietre raccolte sui campi ha permesso loro di realizzare quelle singolari costruzioni a secco denominate sommariamente trulli, ma che qui, a seconda della funzione, sono dette “Furni”, “pajari”, “puddhrari”, truddhri”, con cui si indicano rispettivamente costruzioni adibite a forno, deposito della paglia, pollaio e ricovero temporaneo del contadino. A partire dal secolo XVI la popolazione si accentra nei paesi, dando così inizio al fenomeno del pendolarismo bracciantile. In quest’area interna del Capo di Leuca, dove l’insediamento annucleato raggiunge un indice di affittamento considerevole, il trullo o riparo temporaneo in pietra a secco diventa un complemento della dimora permanente sita nell’abitato. In queste singolari architetture il bracciante può trovare riparo dalle intemperie e può depositare gli strumenti da lavoro,ma periodicamente può anche pernottare per meglio sorvegliare i prodotti del campo. Associati a qualsiasi forma di coltura, questi singolari edifici trulliformi segnano puntualmente le unità particellari. Spesso nello stesso fondo si trova più di un riparo, disposto singolarmente o aggregato ad altri. Tirati in altezza a forma di piramide tronca, tronco-conica , a piramide tronca con un tronco di cono, a doppio tronco di cono o a doppio tronco di piramide, si sviluppano su pianta quadrata, rettangolare o circolare con svariate dimensioni o con tecnica strutturale a volte rudimentale, altre volte scrupolosamente realizzata. Disposti intorno ad un’aia o collocati in corrispondenza di un vialetto, adagiati su appezzamenti destinati alla coltura dei cereali o all’ombra di ulivi millenari, questi prodotti della civiltà contadina creano sempre scenari suggestivi, anche se la loro funzione rievoca condizioni socio-economiche e aspetti di una vita segnata da un duro lavoro che andava dall’alba al tramonto.

  3.2 – L’ambiente naturale

La forma del territorio comunale di Taurisano, uno dei meno estesi della provincia leccese, misurando appena 2.332 ettari, può essere paragonata ad un triangolo col vertice piegato a sinistra, a guisa di uncino. Confinante con i territori comunali di Ruffano (da Nord a Sud –Est), di Acquarica del Capo (a Sud) e di Ugento (da Sud –Ovest a Nord–Ovest), è ubicato nel cuore della cuspide salentina , di quell’area in gran parte occupata dalle Murge o Serre Salentine che, originandosi poco oltre l’asse Gallipoli–Otranto, riproducono in miniatura i tratti fondamentali del corrugamento appenninico. Sia a levante che a ponente dell’abitato scorrono due cordoni collinari, costituenti la serie centrale delle Serre, che assumono diverse denominazioni a seconda dei luoghi. È proprio dal cordone orientale, comunemente denominato Serre di Ruffano o di Levante, che ha origine il territorio amministrativo del Comune di Taurisano, poco a sud della grotta del SS. Crocefisso della Macchia (m.177 s.l.m.), dove passa il 40° parallelo Nord. Tale altura, procedendo verso Sud-Est, si dirama in più ondulazioni, la più occidentale delle quali, per un determinato tratto, segna i confini territoriali di Ruffano e Taurisano, ed assume ora il toponimo di “Scippi” (m. 144 s.l.m.), ora “Cucco” (m.142), ora “Monterotondo” (m.148), ora S. Teresa (m.152). Poi, addentratosi nel feudo di Taurisano, viene denominata “Saglietti” (m.149), “Molicchi” (m.150) e “Silve” (m.169), finchè non si congiunge con la “Serra del Cianci”, in quel di Specchia, che con i suoi 201 metri s.l.m. costituisce il tetto del Salento leccese.

Il cordone collinare occidentale, denominato Serre di Ugento o di Ponente, ha inizio nelle adiacenze della “Masseria Fumusa”, in feudo di Ugento, corre lungo il confine dei territori ugentino e taurisanese per un breve tratto (“Serra di Varano”, m. 113), per poi addentrarsi nell’agro di Taurisano (“Serra di S. Lucia”, m. 130; “Campollotti”, m. 130; “Serra di Galia”, m. 150) e proseguire fino al promontorio di S. Maria di Leuca. Geologicamente le Serre sono costituite da una formazione plio-pleistocenica (calcareniti del Salento), in vari punti affiorante con spuntoni dolomitici e nuclei lapidei isolati, salvatisi dalla dissoluzione operata dalle acque meteoriche perché composti da rocce calcaree più resistenti (dolomie) o perché meno esposti al lavorìo delle acque.

Il territorio taurisanese è solcato da un affusolato polje, depressione carsica che si origina poco a Nord di Taviano e termina poco oltre l’abitato di Presicce. Il basamento di questo avvallamento, sul cui declivio orientale si estende il paese, è costituito da formazioni del cretacico, composto dalla cementazione dei sedimenti di molluschi fossili dei Lamellibranchi (rudiste), di Foraminifere ed Ippuriti, di frammenti di crostacei, di detriti di roccia calcarea e di sabbie litoranee marine.Su questo strato compatto si dispone una spessa fascia di tufi, che emerge nell’area a sud-est dell’abitato, dove sorgono estese cave a cielo aperto di questa roccia, costituita da argille marnose e calcari organogeni più o meno compatti derivanti dal disfacimento del materiale calcareo più antico (contrade “Demanio”, Marasculi”, “Galia”). Non è raro, infatti, trovare conchiglie fossili incastrate nel tufo o nel carparo, a testimonianza che nelle Ere geologiche gli strati del Terziario (il Pliocene nel nostro caso) erano ricoperti dalle acque marine, in seguito lentamente regresse, anche per il sollevamento del suolo. Gran parte dell’abitato è disposta su un altro strato del Terziario, formato da argille marnose di calcare gialliccio, plastiche e ricche di fossili, dalle quali si passa gradualmente alle argille sabbiose e alle sabbie gialle. L’ultimo strato, quello superficiale risalente all’Era Quaternaria, è composto dal solo tipo di terreno agrario esistente, la terra rossa, che assume questa caratteristica colorazione per la presenza massiccia di ossido di ferro, originato dalla degradazione meteorica delle rocce calcaree nel corso dei millenni, in condizioni particolari di clima umido–temperato. Il carsismo in questo territorio, oltre che con i fenomeni geologici su accennati, si manifesta anche con la presenza di vari inghiottitoi, doline e grotte (contrade “Giardino della Corte”, “Livola”, “S. Lucia-Ortenzano”, “Colarusso”). Il territorio, altresì, non è in alcun modo interessato da corsi d’acqua superficiali, in compenso, però ,il sottosuolo è attraversato da una copiosa falda acquifera. L’antropizzazione del territorio e la sua messa a coltura sono diventate massicce e sistematiche a partire dalla metà del secolo XV, quando ha avuto inizio la progressiva distruzione della macchia mediterranea, dei boschi di querce (roverelle, vallonee, lecci, coccifare con foglia spinosa). Nel corso degli anni Trenta del Novecento si è provveduto a rimboschire alcuni tratti della Serra di Galia e le aree archeologiche degli ex casali di Ortenzano e Varano, con alberi di pino di Aleppo, eucalipto e leccio.

Roberto Orlando

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